martedì 15 gennaio 2013

LA DOMINAZIONE MONGOLA


La dominazione Mongola. L'Invasione.

Aurelio Montingelli, Anna Gromova
29.03.2009.





Nell’anno 6731 dalla creazione, corrispondente al 1223, tutti gli antichi annali della Russia registrano quasi con gli stessi accenni l’inizio di un avvenimento che avrebbe segnato profondamente la storia del paese, travolgendo il suo corso.

Il padre della storiografia russa avrebbe scritto nella sua opera monumentale che senza la dominazione mongola la Russia, forte delle sue origini e nutrita dall’ellenismo di Bisanzio, sarebbe stata per l’Europa e il mondo intero un faro di civiltà.

Vernadsky, storico americano di origine russa, avrebbe tentato, cento anni più tardi, di quantificare le perdite subite dalla Russia e dalla civiltà europea e mondiale per l’invasione di Chinghis Khan.

Nel giro di qualche decennio Chinghis Khan, ovverosia il Khan dei Khan, seppe oscurare per secoli e, a volte per sempre, antiche civiltà.
Le orde partite dalla Cina settentrionale avevano attraversato la Siberia e superato gli Urali per dilagare poi nelle fertili pianure della Russia europea. Alcune frange avevano proseguito il cammino per arrivare nell’odierna Ungheria seminando morte e distruzione. Vernadsky si dice convinto che le vittime umane dell’invasione mongola possano essere calcolate nell’ordine di parecchi milioni.

E siamo nel XIII secolo quando la catapulta era ritenuta una arma di distruzione di massa.
  
Ma torniamo al 1223 e leggiamo negli annali Laurenziani: "Quell’anno arrivarono dei popoli di cui nessuno sa niente, da dove vengono e che lingua parlano, di quali genti e di quale fede. Da alcuni vengono definiti tartari, da altri taurmeni, da altri ancora pece neghi".

L’annalista poi, con un certo sfogo di erudizione, cita il vescovo Metodio che nella sua “Rivelazione” pervenuta in alcuni brani, ai primi del IV secolo aveva scritto:
“ Alla fine dei secoli arriveranno coloro che hanno stremato Gedeone e si sono impadroniti di tutta la Terra, dall’Oriente all’Eufrate, dal Tigri al Ponte Eusino”.

Con queste parole e con l’aggrapparsi ad oscure profezie l’Annalista riesce a trasmetterci quel clima di smarrimento che avrebbe dominato gli animi delle genti russe dinanzi ad un pericolo sconosciuto.

La notizia di quella fiumana umana era arrivata in Russia tramite le tribù polovesiane che investite in pieno avevano cercato scampo nelle terre del nemico di sempre.
Sulle prime l’Annalista considera le sciagure abbattutesi sui polovesiani come un castigo di Dio e scrive:

“Gente dannata, i polovesiani molto male hanno commesso nella Terra di Russia . Per cui il Dio onnipotente avrà voluto punire i figli senzadio di Ismaele e vendicare il sangue cristiano. Questi taurmeni hanno percorso tutta la Terra Cumana per giungere in prossimità della Rus, nella località chiamata Vallo polovesiano.”


E per la prima volta nella storia i polovesiani chiesero aiuto ai russi.
Leggiamo negli Annali di Ipatiev: “ I polovesiani tentarono di difendersi, ma finanche il più forte di loro, Juri Konciakovic, non riusci’ a resistere e si dette alla fuga. Molti furono uccisi, fino alle sponde del Dnepr… Allora i polovesiani accorsero nella Terra russa e cosi’ dissero ai principi: “ Se voi non ci aiuterete oggi a cadere saremo noi, ma domani a cadere sarete voi”. I principi si riunirono a consiglio a Kiev e al consiglio decisero: “ Meglio dare loro battaglia in terra altrui che nella propria “, accogliendo cosi’ la richiesta di aiuto dei polovesiani con quella buona dose di opportunismo e di cinismo che hanno sempre contrassegnato la politica di ieri e di oggi.


L’arrivo delle orde mongole nelle terre di Russia non passò inosservato. Vi fanno riferimento numerosi documenti arabi,cinesi e persiani. Ma gli storici e i cronisti occidentali ignorano l’avvenimento, con una eccezione illustre.

Qualche anno più tardi Federico II cosi’ scrisse al re di Inghilterra : “ E fu cosi’ che il terrore e l’angoscia albergarono nei nostri cuori sotto la furia impetuosa di questi aggressori.”


L’appello polovesiano era stato raccolto, ma non da tutti. I principi del Nord pensando che quel pericolo non li riguardasse declinarono l’invito all’unità rivolto per la prima volta dal Khan polovesiano Kotjan Sutoevic.          I principi della Russia meridionale decisero invece di ritrovarsi tutti a Kiev per prendere una decisione comune. A testimonianza che qualcosa di nuovo era nell’aria l’assemblea si svolse sotto una presidenza collegiale formata da tre Grandi Principi che la sorte aveva voluto che si chiamassero tutti con lo stesso nome, Mstislav. Erano i principi di Kiev, Galizk e Cernigov. Tranne qualche assenza, come quella del principe di Vladimir, forse troppo giovane per partecipare ad un avvenimento di tanta eccezionalità, c’erano praticamente tutti i principi della Russia.

Ci arrivarono via terra e lungo il corso dei fiumi che confluivano nel Dnepr, il fiume che bagna Kiev.
C’erano i capi polovesiani, i rappresentanti di Cernigov e di Smolensk, di Kursk e di Putivl. Erano in tanti, ognuno accompagnato dalle sue schiere in armi.
In quel clima di generale euforia un principe polovesiano decise di abbracciare la fede cristiana.

L’annalista scrive che durante il guado del Dnepr non si riusciva più a vedere l’acqua del fiume.
Il Gran Principe di Galizk si era presentato con mille barche.
Sembra che quella scena non fosse passata inosservata ad un gruppo di esploratori mongoli in ricognizione che scoperti dalle vedette russe si dettero ovviamente alla fuga.

Quella fuga fu interpretata come un atto di debolezza e cosi’ sotto l’impeto di alcuni giovani principi, un esercito riattraversò il Dnepr e lanciato all’inseguimento, penetrò in profondità in territorio polvesiano.


Nel primo scontro gli arcieri russi seminarono il panico nei reparti mongoli che si ritirarono disordinatamente. I condottieri mongoli Jebe-Noyon e Subedei-Baatar, i più apprezzati da Chingis Khan non solo per le loro capacità militari inviarono degli ambasciatori al Consiglio di Kiev.
Leggiamo negli annali di Ipatiev: “Non vogliamo la guerra con la Russia, non abbiamo velleità sulla vostra terra. Noi combattiamo contro i polovesiani che sono da sempre vostri nemici. Per cui se adesso accorrono presso di voi, uccideteli e razziate i loro beni”.
I principi russi respinsero quelle profferte di pace. In quegli auspici di bottino e di spartizione si vide una astuzia che mascherava una debolezza. E si decise di dare battaglia. E in una piana, attraversato da un fiume, si ritrovarono i principi della Russia, ognuno con la sua schiera. Erano migliaia di uomini in armi tutti animati dallo stesso ardore e dalla stessa volontà di ricacciare per sempre quell’oscuro nemico.







Sul fiume Kalka si levava l’alba del 31 maggio del 1223.




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Autori: Aurelio Montingelli, Anna Gromova
Fonte: http://italian.ruvr.ru" La Voce della Russia.


Polovesiano, agg. e s. m. (f. -a) [da Poloviciani, che, insieme con Polovzi, è adattam. del russo Polovcy]. – Relativo o appartenente alla popolazione turca dei Poloviciani (nota anche col nome di Cumani), i quali a partire dal 10° sec. occuparono i territorî a nord del Mar Caspio e del Mar Nero, passando poi in Bulgaria e in Ungheria, dove furono lentamente assorbiti e cristianizzati.

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